Lo Street Food, una cultura da conservare

Lo Street Food, una cultura da conservare

Un viaggio attraverso le strade delle città siciliane con una tappa obbligata nei mercati tradizionali è un tuffo in un caleidoscopio di colori e profumi. L’odore della carne arrosto (salsiccia e stigghiola in primis) si sposa con il profumo dell’olio fritto e delle prelibatezze che bollono al suo interno: panelle, crocchette e arancine, le regine dello street food.
Una cucina poco light ma che vale la pena provare: piatti semplici realizzati spesso con ingredienti poveri (la farina di ceci per le panelle, le patate per le crocchette, il riso per le arancine…), ma generosi, con il loro gusto pieno e intenso.
Chi lo street food lo fa come lavoro, lo difende con i pugni e con i denti: difende il suo cibo di strada, le storie e le inflessioni linguistiche che ogni giorno animano i propri camioncioni o i propri banchetti, sempre colorati e con sorrisi pronti ad accoglierti e una buona storia da raccontare. Sì, perché si mangia per strada da secoli, per comodità, per velocità, per risparmiare e le esperienze si sommano alle esperienze del padre, del nonno che quel lavoro lo hanno creato, tramandando il loro inestimabile know how alle generazioni future.
Gli ultimi anni hanno visto lo street food ritornare protagonista e non solo all’interno di feste popolari e sagre. Lo street food è radicato a un territorio per tutto l’anno, porta dietro di sé un bagaglio di cultura e tradizione culinaria che non può mettere in bella mostra solo nelle grandi occasioni.
Le ricette di famiglia si tramandano, il legame con il territorio resta invariato, così come la qualità dei prodotti utilizzati, preferibilmente locali. L’abilità manuale migliora e si affina grazie alla tecnologia, che non sostituisce la tradizione ma, almeno in questo caso, la supporta e la migliora. Miglioramento e qualità, dunque, perché essere sulla strada non significa per forza essere a un livello inferiore.



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